Quando il defunto è uno straniero, o un italiano che risiede all’estero che ha voluto sottoporre la successione alla legge dello stato in cui risiede, alcuni o tutti i beni sono situati all’estero, il testamento è stato redatto all’estero, ed in generale in ogni caso in cui nella successione intervengano elementi di estraneità con il nostro ordinamento, si pone il problema di stabilire quale sia la legge applicabile alle varie situazioni che si possono presentare.
Per quanto riguarda il diritto internazionale privato italiano, la materia successoria è regolata dagli artt. da 46 a 50 della L. 218 del 31.5.1995, che si occupa di determinare la legge che regola la successione, la successiva divisione, la capacità di testare, la forma del testamento, la eventuale successione dello Stato, la giurisdizione in materia successoria.
Ai sensi dell’art. 50 della L. 218/1995 “1. In materia successoria la giurisdizione italiana sussiste: a) se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; b) se la successione si e’ aperta in Italia; c) se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica e’ situata in Italia; d) se il convenuto e’ domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero; e) se la domanda concerne beni situati in Italia”.
“La divisione ereditaria afferisce alla materia successoria” conferma la Cass SS UU indicata nel titolo, e secondo l’art. 46, comma 3 della L. 218/1995 è regolata dalla legge della successione, che a sua volta è regolata dalla “legge nazionale del soggetto della cui eredita’ si tratta, al momento della morte” (comma 1).
Dunque anche la divisione ereditaria, e tutti gli accordi connessi sono soggetti alla giurisdizione italiana, il che significa che i giudici italiani possono e debbono conoscere delle controversie relative, applicando, ove ne ricorrano i presupposti, anche il diritto straniero (diritto che deve essere portato a conoscenza del giudice dalle parti, a differenza di quello italiano, che è cosciuto autonomamente dai giudici e non necessita di allegazione testuale).
Con la ordinanza in epigrafe, però, le Sezioni Unite della Cassazione, in sede di regolamento di giurisdizione, stabiliscono che le questioni relative alla ripartizione – post mortem – dei beni inseriti dal defunto – in vita ovviamente – in un trust, perlomeno per come dedotte dalle parti nella causa oggetto di pronuncia, non costituiscono questioni riferibili ad un trasferimento “mortis causa”.
Ciò perché il Trust viene costituito “con atto inter vivos”, e determina il passaggio di proprietà dei beni in esso ricompresi “nella sfera giuridica del trustee” … cioè di un soggetto terzo, diverso dal testatore … “investito del compito fiduciario di gestire” … i beni (in questo caso erano partecipazioni societarie) … “nell’interesse dei beneficiari e di devolvere ad essi detto patrimonio al termine del trust”.
In una fattispecie come questa, non si ha una attribuzione “mortis causa”, confermano le Sezioni Unite della Cassazione, ma una “donazione indiretta, riconducibile nell’ambito della categoria delle liberalità non donative, di cui all’art. 809 cod. civ. Infatti, l’arricchimento dei beneficiari è stato realizzato dal disponente mediante un meccanismo indiretto, prevedente la creazione di un ufficio di diritto privato (quello del trustee), il titolare del quale – titolare, altresì, del patrimonio separato costituente la dotazione del trust – è stato investito del compito di far pervenire ai beneficiari i vantaggi patrimoniali previsti dall’atto istitutivo”.
“Va quindi esclusa la natura mortis causa del trasferimento dal trustee ai beneficiari finali, che costituisce il secondo segmento dell’operazione, perché – come è stato rilevato – tale atto traslativo ha investito ormai sfere giuridiche diverse da quelle dell’originario disponente: rispetto a tale trasferimento, la morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al più individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale”.
La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite ricorda anche che la materia delle successioni “internazionali” è disciplinata anche dal “regolamento UE n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato europeo”) che si applica, ex art. 83, alle successioni delle persone decedute alla data o dopo il 17 agosto 2015.
Tale regolamento non applica e questioni inerenti alla costituzione, al funzionamento e allo scioglimento di trust e nemmeno ai “diritti e i beni trasferiti con strumenti diversi dalla successione, quali le donazioni, fatto salvo quanto previsto in tema di collazione e di riduzione ai fini del calcolo delle quote dei beneficiari secondo la legge applicabile alla successione (v. considerando 9, 13 e 14, nonché art. 1, paragrafi 1 e 2, lettere g e j, e art. 23, paragrafo 2, lettera i)”
Dunque quando una controversia “concerne gli esiti di una attribuzione inter vivos e non mortis causa discendente dall’apporzionamento di beni conferiti in trust e non fanno parte dell’oggetto della causa i meccanismi di riequilibrio – tipici della materia successoria – della collazione e della riduzione delle liberalità indirette, il titolo di giurisdizione, nel rapporto tra la giurisdizione italiana e quella degli altri Stati, va ricercato, non secondo i criteri speciali dettati dall’art. 50 della legge n. 218 del 1995, ma in base al criterio generale di cui all’art. 3 della stessa legge”.
Secondo detto articolo 3 infatti “1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto e’ domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui e’ prevista dalla legge.”
D’altronde, prosegue la Cassazione, se il convenuto – cioè il soggetto che viene citato in giudizio – è domiciliato in Italia – “la causa rientra nell’ambito della giurisdizione italiana anche in applicazione della disposizione generale sulla competenza dettata dall’art. 4 del regolamento UE n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale («A norma del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro»).
La giurisdizione italiana in questi casi può essere “convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga e’ provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili” (art. 4, comma 2, della legge n. 218 del 1995), in quanto riguarda diritti disponibili
La disponibilità dei diritti fatti valere in sede di divisione, derivanti da un atto inter vivos del defunto, infatti, si ricava, sempre seguendo la Cassazione di cui sopra:
- dall’art. 1966, secondo comma, cod. civ., con cui si sancisce esplicitamente come non possano formare oggetto di transazione i diritti che, «per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti»;
- dall’art. 806 cod. proc. civ., che, salvo espresso divieto di legge, consente alle parti di «far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili»;
- dall’art. H della Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, adottata a New York il 10 giugno 1958 (l’adesione alla quale è stata autorizzata con la legge 19 gennaio 1968, n. 62), disposizione che fa riferimento ad una questione suscettiva di essere regolata in via arbitrale («une question susceptible d’étre réglée par voie d’arbitrage») (cfr. Cass., Sez. U., 4 maggio 2006, n. 10219).
- Dalla considerazione che “Questa Corte ha in proposito chiarito che l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte (Cass., Sez. I, 12 settembre 2011, n. 18600);
- Dalla considerazione che “l’indisponibilità del diritto costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria e non va confusa con l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con cui si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge (Cass., Sez. VI-1, 16 aprile 2018, n. 9344).
- Dalla considerazione che “l’eventuale presenza, nella fattispecie, di norme di applicazione necessaria (nell’accezione datane dall’art. 17 della legge n. 218 del 1995) – ossia di norme della lex fori operanti come limite all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto – non incide sul diverso problema della possibilità di compromettere in arbitrato estero la controversia, non potendosi presumere che il lodo dell’arbitrato estero si porrà in concreto contrasto con la norma italiana di ordine pubblico (cfr. Cass., Sez. U., 20 febbraio 2007, n. 3841).