Per ovviare al problema della possibile lesione della privacy dei soggetti inseriti in un registro condiviso di transazioni giuridiche, si è proposto di criptare le informazioni sensibili e/o di inserire nei registro solamente l’hash dei dati personali.
In realtà al di là delle perplessità della attaccabilità informatica della pseudoanomizzazione tramite hash, una delle prime funzioni di un registro condiviso pubblico dovrebbe essere proprio quello di rendere identificabili e tracciabili tutti i passaggi delle transazioni
Il parametro di riferimento è quello dei registri della proprietà immobiliare, che in effetti partono dal criterio della “provenienza”, perché per trasferire validamente un diritto bisogna esserne i titolari (e garantire di esserlo)
Un’altro aspetto fondamentale della questione è quello della perfetta corrispondenza tra il diritto trasmesso e quello dichiaratamente posseduto.
Mentre quando si tratta di trasferimento di entità astratte e fungibili, come per definizione è una determinata somma di denaro (o una unità di conto rappresentativa di un valore), non è necessario descrivere ciò che si trasferisce, se non per quantificarlo esattamente, quando di trasferisce un bene della vita, le possibilità di differenziazione e di errore sono infinite.
Chi si è cimentato con la compilazione di una nota di trascrizione relativa a diritti immobiliari, a maggior ragione se informatica, ha verificato quanto perfino i dettagliati “form” appositamente studiati, spesso possano risultare insufficienti a descrivere il bene, ed infatti la tipizzazione di informazioni da fornire viene sempre integrata dalla possibilità di compilare un quadro libero, nel quale aggiungere le informazioni ritenute opportune per evitare fraintendimenti, fonti di possibile contenzioso.
Omettendo le informazioni sui dati personali dei soggetti interessati dalla transazione, perlomeno in un registro condiviso relativo al trasferimento di diritti di proprietà di beni complessi, si avrebbe proprio l’effetto contrario a quello voluto, perché si andrebbe a rallentare e a rendere insicura la circolazione dei beni stessi.
Ma forse il punto è proprio che l’inquadramento giuridico dell’utilizzo della tecnologia informatica può e deve partire proprio dalle esperienze già in essere, talvolta anche da secoli, per trovare nuove soluzioni in termini di affidabilità, sicurezza, velocità e deburocratizzazione.
In questo senso la normativa potrebbe risolvere anche il problema della (presunta) violazione della privacy, perché nel caso di un registro condiviso pubblico i soggetti di una transazione avrebbero essi stessi interesse a che i propri dati identificativi vengano menzionati “in chiaro”, per rendere opponibili “erga omnes” le vicende che riguardano i propri diritti.
Anche il diritto all’oblio, nelle ipotesi di cui sopra, sarebbe contrario all’interesse alla perpetua riconducibilità del diritto alla “catena” dei precedenti titolari.