IL PATTO DI FAMIGLIA – FAVORIRE LA CONTINUAZIONE DELL’AZIENDA DA PARTE DEI DISCENDENTI DELL’IMPRENDITORE PIU MERITEVOLI E CAPACI

IL PATTO DI FAMIGLIA  – FAVORIRE LA CONTINUAZIONE DELL’AZIENDA DA PARTE DEI DISCENDENTI DELL’IMPRENDITORE PIU MERITOVOLI E CAPACI

La L. 55 del 2006 ha introdotto un nuovo capo nel Titolo IV (divisione ereditaria) del libro II del codice civile (successioni), il Capo V bis, intitolato al PATTO DI FAMIGLIA

Il patto di famiglia sarebbe un patto successorio vietato, senza la nuova disciplina di cui sopra, che in infatti ha modificato anche l’art. 458 c.c., che ora salva dalla nullità i patti che vengono disposti ai sensi degli artt. 768-bis e ss c.c.

La definizione del patto di famiglia è fornita dall’art. 768 bis c.c., ove è stabilito  che «È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni ín  materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie,  l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni  societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».

Si tratta dunque di un nuovo contratto tipico (da stipularsi, a pena di nullità, nelle  forme dell’atto pubblico), che si pone l’obiettivo di agevolare il trasferimento di aziende o  di partecipazioni societarie all’interno del nucleo familiare, quando il disponente è ancora  in vita.

L’imprenditore può operare una sorta di successione anticipata nell’impresa, con  l’accordo di tutti coloro che, in caso di apertura della successione, al momento della  stipula del patto, assumerebbero la qualità di legittimari, in modo tale da regolare per  tempo il passaggio generazionale nella gestione dell’impresa, evitando che, al momento  della sua morte, l’azienda o le partecipazioni al capitale della società cadano nella  comunione ereditaria (con il rischio di frazionamento in conseguenza della divisione).

Il patto può riguardare  esclusivamente l’azienda o le partecipazioni sociali del’imprenditore, e non altri beni dello stesso (denaro, i  crediti, la mobilia, gli immobili, ecc.)

Ove il patto di famiglia includesse tali beni, si ricadrebbe nella nullità e nel divieto di cui art. 458 c.c.  

Ovviamente l’imprenditore può continuare a disporre dei beni del suo patrimonio  diversi dall’azienda o dalle partecipazioni societarie, ma a tali disposizioni non può applicarsi la disciplina propria del patto di famiglia, restando operante quella preesistente all’introduzione di tale istituto.

I destinatari dell’attribuzione anticipata dell’azienda possono essere solo i discendenti (non solo i figli, ma anche i nipoti), dunque né il  coniuge né gli ascendenti, né altri parenti e tantomeno soggetti estranei alla famiglia.

Lo scopo del patto di famiglia è quello di consentire il passaggio generazionale dell’azienda o delle partecipazioni sociali  dell’imprenditore, evitando liti future in sede di divisione, o azioni di riduzione tra coeredi, e tale scopo si raggiunge andando a soddisfare immediatamente chi, al momento della stipula, in caso di apertura della  successione, sarebbe un legittimario pretermesso dall’attribuzione.

Proprio per evitare contestazioni al contratto «devono» obbligatoriamente partecipare il coniuge e  tutti coloro che sarebbero legittimari, ove nel momento della stipula si aprisse la  successione nel patrimonio dell’imprenditore.

Anche perché «Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri  partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento  di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti»., e la liquidazione deve avvenire subito, senza aspettare l’apertura della successione.

I contraenti possono anche prevedere che tale liquidazione avvenga in tutto o in  parte in natura, tant’è che il successivo comma 3 dello stesso articolo precisa che, come  il denaro, anche i beni assegnati ai partecipanti al patto, che non siano gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali, sono imputati, secondo il valore attribuito in  contratto, alle quote di legittima spettanti a questi ultimi. Il destinatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali deve, dunque, provvedere  alla tacitazione dei non assegnatari mediante la corresponsione di una somma che, si badi bene, non soddisfa l’intera legittima, ma solo la porzione di essa che a ciascun  legittimario spetterebbe sul singolo bene o sul complesso di beni oggetto di trasferimento  che, stante l’efficacia immediata del patto, al momento dell’apertura della successione, non entreranno nel futuro relictum.

«Quanto ricevuto dai  contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione» e, essendo sottratto alla collazione,  non è neppure suscettibile di imputazione (art. 564 c.c.).

Una volta aperta la successione, dunque, nei rapporti tra i legittimari sopra  indicati, i beni trasferiti con il patto di famiglia (azienda o partecipazioni societarie) non  solo non entrano a far parte del relictum, ma neppure vengono considerati ai fini della  ricostruzione del donatum.

La norma si riferisce sia al trasferimento in favore del beneficiario sia alla  liquidazione in favore dei legittimari non assegnatari.  

Ovviamente, riduzione e collazione non sono interamente brecluse.  Esse non operano relativamente ai beni oggetto del patto di famiglia, nei limiti di  valore di tali beni e con riguardo alle persone intervenute sicché, stante tale parzialità,  all’apertura della successione ciascuno dei legittimari conserva la possibilità di esperire  l’azione di riduzione sul restante patrimonio del de cuius.